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LA RECENSIONE DEL MESE

Regia di Lars Von Trier

 

Il cinema, a volte, sorprende.
Nell'attuale epoca dell'industria cinematografica, in cui le tecnologie digitali dominano il mercato, c'è sempre qualcuno, in qualche parte del mondo, pronto ad un ritorno alle origini, un ritorno a vecchi valori e virtù.
Anche se anacronistico, è un percorso obbligato. Un ritorno al futuro, se vogliamo.
Lo si vede nel mondo della comunicazione: quando la convergenza tecnologica dei mezzi e la facilità di approvvigionamento della “notizia” iniziano a diventare inversamente proporzionali alle capacità individuali di comunicare in maniera esaustiva, sembra che si voglia quasi ritornare indietro col tempo per recuperare le antiche e più semplici facoltà della parola.
Lo si vede soprattutto nel cinema quando, delle opere, facendo sperimentazione, cercano di contaminare stili e mezzi espressivi artistici al fine di riecheggiare un ritorno all'essenzialità della messa in “communio” di diversi linguaggi.
E' questo il caso di “Dogville”, ultima fatica del regista danese Lars Von Trier.
Un film di confine che erra tra i diversi spazi e ritmi narrativi del teatro e del cinema.
Teatro nel cinema. O meglio, teatro filmato, impressionato e imprigionato nella pellicola.

Un film “Dogmaticamente” scarno ed essenziale. Un film fatto di voci e recitazione con una colonna sonora ridotta all'osso che sembra non intralciare il passo al suo percorso narrativo.
Un film contro. Contro il tipico “set” cinematografico Hollywoodiano che diviene, in questo caso, un immenso spazio vuoto. Un non luogo da riempire che rappresenta una piccola cittadina di poche anime sperduta tra le Montagne Rocciose, Dogville appunto. La città che non conosce il significato della parola “perdono”, Dogville, metafora del potere e del suo esercizio.
Degna di un'analisi interpretativa di Vladimir Propp, la storia di questa surreale cittadina si rimette in discussione quando, per sfuggire ad un gruppo di Gangster, Grace (la bella Nicole Kidman), una dolce ragazza americana, arriva in paese.
L'affascinante protagonista dapprima viene accolta affettuosamente dai cittadini poi, il loro atteggiamento muta man mano che sentono Grace sempre più bisognosa del loro affetto.
La situazione però, le scappa dalle mani: per la piccola comunità Grace diviene così la fonte inesauribile di desiderio sessuale a cui tutti possono attingere per il soddisfacimento delle proprie voglie. Solo il povero Tom Edison, il giovane filosofo che l'ha accolta per primo e che la ama ricambiato, è destinato a non consumare mai. Ambientato tra la dura quotidianità della grande crisi americana del ventinove, il film, tra schiavitù e violenze psico/sessuali, continua fino a quando il giovane filosofo ne denuncia la presenza in paese della ragazza ai Gangster.
E' l'inizio della fine.
Pirandellianamente, come in un gioco delle parti, la vittima oltrepassa il suo “status” per poi diventare carnefice.
E' in questa metamorfosi che si può rintracciare tutta l'essenza del film.
Un film tecnicamente contaminato da idee diverse, dal linguaggio della musica e del teatro.

Un film che parte da uno spunto avuto dal regista nell'ascoltare la canzone “Genny dei pirati” tratta dall' “Opera da tre soldi” di Bertolt Brecht.
Cinema e teatro, dunque, o “cinema fusionale”- come lo chiamano i critici.
Quel cinema che, con le sue macchine da presa, invade il palcoscenico e ne segue la recitazione prosastica dei suoi personaggi.
Un cinema intellettualmente ambizioso che, nella rappresentazione gerarchizzata del rapporto tra potere e sottomissione, ricorda il rapporto di dominio uomo/animale tra Lucky e Pozzo, i sue co-protagonisti dell'intramontabile spettacolo teatrale “Aspettando Godot” di Samuel Beckett.
E' su questa scia che il regista continuerà, nei prossimi anni, il suo percorso di ricerca che culminerà con l'uscita di altri due film: “Manderlay” che svilupperà il tema della schiavitù e “Washington”.
“Ho scritto pensando a Nicole Kidman ma non so se nei prossimi film lei ci sarà”- afferma Von Trier. “Grace è il fil rouge che lega i tre film: il suo sviluppo come essere umano e come donna”, conclude il regista.
Cosa ci aspetterà?? Mettiamoci comodi, lo spettacolo sta per cominciare e la pellicola teatrale riprenderà a girare sopra il legno del palcoscenico.

 

La locandina del film

 

Nicole Kidman in una scena del film

 

Alcuni personaggi del film

 

Il surreale villaggio

 

Il regista Lars Von Trier

Samuele Baccifava
   
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