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LA RECENSIONE DEL MESE

PRIMO AMORE

Regia di Matteo Garrone
con Vitaliano Trevisan, Michela Cescon.

 

“Come tu mi vuoi”. Con la testa. Ma soprattutto col corpo. Come tu mi vuoi, come una maschera nuda e scialba ma, come tu mi vuoi.
Amore, possesso ed il loro incastrarsi in un serrato gioco di specchi. E' questo il tema del doppio che incalza, si impone e detta le sue leggi.
Quando è l'amore che sfuma, si schiaccia e diviene possesso. Morboso possesso.
Come definire i protagonisti dell'ultimo interessante film di Matteo Garrone - “Primo Amore”- , se non “schiacciati”??

Schiacciati. Schiacciati dalla loro stessa passione, dalla loro stessa volontà ad essere “altro” rispetto a ciò che realmente sono e pensano.
Da una parte vi è il protagonista: un orafo. Un orafo ossessionato dal bisogno fisiologico e pragmaticamente materialista di arrivare all'essenza delle cose. Liberare la sua donna dal suo corpo che lo affascina e lo plagia allo stesso tempo, scorticarla per arrivare alla sua testa. L'anima, forse.
Forgiare il corpo come l'oro e modellare.
Modellarlo ed arrivare all'icona, alla donna divenuta ormai prototipo, ideal-tipo di una bellezza esteticamente perfetta.

Dall'altra parte invece, abbiamo lei, la protagonista. Lei, la donna amata, la vera vittima dell'amore/possesso del protagonista. Lei, oro da forgiare, oggetto e ossessione di lui. Lei, che per amore di lui, inizia ad astenersi dal cibo, lei in caduta libera verso l'anoressia.
Lui il “male”. Il “bene”, lei. Due opposti che si attraggono e si respingono in un contesto al limite del modello Platonico del “Parmenide”.
Da una parte, l'ideale dell'amore, l'amore cerebrale del protagonista continuamente ossessionato dalla forma. Dall'altra l'amore di sostanza, quello che si slega da tutti i “se” ed i “ma” ed approda alla pura accondiscendenza in cui, ogni cosa diviene negoziabile. Compresa l'anima.
Ecco allora la discesa della protagonista che, nell'impeto dell'amore, vende sé stessa, il suo essere e, soprattutto, il suo agire.

Primo Amore” ma, anche ultimo. Ultimo autodistruttivo capitolo sulle ossessioni psicotico/sessuali rappresentate al cinema da grandi Maestri del cinema italiano. Uno fra tutti: Marco Ferreri che, con la sua continua vena iper/realistica e allegorica de “La Carne” o de “L'ultima donna” ha sempre dipinto il sentimento amoroso in continua contaminazione con l'egoismo dei concetti di “possesso” e di “proprietà privata”.

Amore e malattia, dunque, anche in questa ultima opera di Matteo Garrone.
Un film apprezzato anche a Berlino nell'ultima edizione del Festival che si è aggiudicato un piccolo riconoscimento per la miglior colonna sonora.
Un film che però non riesce molto sul piano comunicativo.

Vitaliano Trevisan, il protagonista, – che tra le altre cose è anche l'autore del libro “Il cacciatore di anoressiche” da cui è tratto il film – oltre a recitare con uno spiccato accento vicentino che a tratti risulta anche incomprensibile, con la sua inespressività del volto non riesce, il più delle volte, a far vivere sullo schermo il personaggio interpretato.

Nota speciale per l'interpretazione della protagonista Manuela Cescon, interessante attrice teatrale prestata per ora al cinema.

 

 

 

Samuele Baccifava
   
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