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LA RECENSIONE DEL MESE
FIONA APPLE
EXTRAORDINARY MACHINE
 
Due anni e mezzo di tormento sono stati il preambolo dell’uscita di Extraordinary Machine, il terzo album della giovane cantautrice newyorkese. Una prima versione dell’album, prodotta da Jon Brion, infatti, era già pronta per uscire sulla scena musicale nel maggio del 2003, ma la politica della Sony Music, come quella che contraddistingue tutte le major, ha bloccato sulla soglia il lavoro della Apple, perché considerato scevro di pezzi “commercialmente appetibili”. A sostenere le sorti dell’album e della stessa cantautrice sono, però, intervenuti i fan, che hanno firmato una petizione per la pubblicazione dell’album e che hanno fatto circolare lo stesso in rete, grazie al sistema di scambio di file peer-to-peer. Ora, non si può asserire con certezza che la mobilitazione dei fan sia stata il principale contributo al riscatto della Apple, ma di sicuro il riscontro positivo che l’album ha avuto in rete ha costituito un forte incentivo all’uscita dell’album; che, va sottolineato, è stato comunque prodotto dalla Sony Music!
Chi ne è uscito, in un certo qual modo, sconfitto dal corso travagliato di questo album è Jon Brion, che si è visto sostituire nel ruolo di produttore da Mike Elizondo e Brian Kehew; e del passaggio del testimone soltanto due brani sembrano non averne risentito, dal momento che i loro arrangiamenti sono stati conservati nella loro versione originale. Tutto il resto dell’album, invece, risulta fortemente diverso dalla versione presente online, ed è caratterizzato da arrangiamenti più convenzionali, frutto della presenza di Mike Elizondo, conosciuto per la sua collaborazione con artisti hip hop quali 50 Cent, Eminem e Mary J. Blige e per aver lavorato al fianco di Sheryl Crow e di Gwen Stefani. Quindi, maggior enfasi su piano e batteria, ridimensionamento del ruolo degli archi e qualche battito dance sono gli elementi identitari dell’ultimo lavoro di Fiona Apple.
I dodici brani che compongono l’album si allineano lungo la scia del tema dell’abbandono: gran parte di essi, infatti, sono stati scritti dopo la separazione della Apple da Paul Thomas Anderson, regista di Boogie Nights e Magnolia; ma non si è più di fronte alla sottolineatura di problematiche tardo-adolescenziali, come accadeva nel suo primo lavoro “Tidal”, bensì alle emozioni di una donna matura, in grado di affrontare e superare le difficoltà che hanno segnato la sua giovinezza (la separazione dei genitori, il tentato suicidio insieme alla sorella, la violenza sessuale subita da uno sconosciuto a soli dodici anni), che la rendono ancor più vicina alla sua connazionale e alter ego Tori Amos.
Alle sue spalle la Apple ha l’esperienza del 1996, quando era appena diciottenne, di Tidal, album sensibile e profondo, in cui malinconia, angoscia, dolcezza, grinta e determinazione danno vita ad una commistione di pop, jazz, soul e blues che confluiscono in un lavoro di grande successo, sia di pubblico che di critica e che hanno portato la cantautrice a ricevere diverse nomination per i Grammy nel 1998 e ad ottenere il disco di platino.
Del 1999 è, invece, l’esperienza di When The Pawn Hits The Conflicts He Thinks, abbreviazione della poesia, scritta dalla stessa Apple contro chi la prendeva in giro, che l’artista voleva originariamente adottare come titolo (“When the pawn hits the conflicts he thinks like a king what he knows throws the blows when he goes to the fight and he'll win the whole thing 'fore he enters the ring there's no body to batter when your mind is your might so when you go solo, you hold your own hand and remember that depth is the greatest of heights and if you know where you stand, then you know where to land and if you fall it won't matter, cuz you'll know that you're right"). L’album non riuscirà, però, ad ottenere lo stesso successo di Tidal, anche perché pochi sono i tratti intensi e coinvolgenti, mentre la maggior parte del lavoro gira intorno ad arrangiamenti confusi.
Quanto all’ultimo lavoro, Extraordinary Machine, uscito il 4 ottobre scorso, esso rappresenta senza dubbio la risultante più robusta e matura degli sforzi della Apple. Palese è la differenza tra le due tracce arrangiate da Brion - Extraordinary Machine e Waltz (Better Than Fine) - e quelle restanti arrangiate da Elizondo e Kehew. Nella title track, che apre il disco, trova grande spazio il gioco di archi, campanelli e marimba, che insieme alla voce pacata e soffice della Apple, che nel ritornello si fa più acuta e cupa, contribuiscono a creare un’atmosfera surreale e fiabesca. Allo stesso modo Waltz (Better Than Fine), il brano conclusivo dell’album, propone insieme all’accoppiata piano-voce della Apple, che è la protagonista del resto dell’album, un’orchestrazione arcana e ritmi non convenzionali, tipici di Brion.
Quanto alle altre tracce, la loro colonna portante è data dall’abbinamento piano-voce e in esse gli arrangiamenti, come già detto, sono più convenzionali, nel segno di Elizondo. Il vigoroso contralto della Apple e l’espressività del suo piano inseriscono “Get Him Back” in un’atmosfera tenebrosa ed energica, in cui il ritmo è scandito dalla prepotente batteria di Ahmir “?uestlove” Thompson; “O’ Sailor” rappresenta una tipica ballata della Apple, passionale e sognante, dove batteria, piano ritmico e una voce fumosa sprigionano una forza trascinante e malinconica. In “Better version of me”, anche se la voce intensa della cantautrice si profonde lungo gli schemi di un pop più ordinario, si assiste ad un accentuato slancio ritmico ed energico; slancio che coinvolge anche “Tymps (The Sick In The Head Song)”, dove emerge anche la vena hip-hop di Elizondo, che dà al brano un taglio irregolare e impulsivo. In “Parting Gift” i riflettori sono puntati esclusivamente sull’essenzialità della voce e del piano della cantautrice che, nel mostrare un lato estremamente intimista della Apple, in riferimento al tema della separazione, diffondono note malinconiche, in una cornice libera dalla presenza di qualsiasi altro strumento; “Window” è un crescendo ritmico, dove la robusta voce della Apple e il vigore dei fiati rimandano al blues di Tom Waits. Anche “Oh Well” si conferma come uno dei tipici pezzi intrisi d’angoscia e struggimento che identificano lo stile della chanteuse, mentre in “Please Please Please” si ha un nuovo slancio energico, sostenuto dal ritmo incalzante della batteria di Abe Laboriel Jr. “Red Red Red”, con la voce cupa della Apple e i bassi di Elizondo, trascina di nuovo in un clima più languido e malinconico e il valore di “Not About Love” è dato dalla centralità della voce della Apple, che ha qui modo di sfoggiare la sua flessibilità, la sua eloquenza, la sua intensità e il suo impeto.
Con questo terzo album Fiona Apple Maggart, figura fragile e sensuale, dalla personalità difficile e affascinante, si conferma uno dei soggetti più interessanti del cantautorato femminile d’oltre oceano; anche se non si può sapere con certezza se la strada intrapresa da Elizondo del “prendere una canzone triste e migliorarla” abbia prodotto frutti effettivamente migliori di quelli generati dalla versione di Brion che, come già sottolineato, poggia su un’orchestrazione d’altri tempi e su dei ritmi che escono dagli schemi convenzionali.
Al di là di tutto, merita si essere sottolineata l’integrità della cantautrice, che non si è piegata alle regole del music business, ma è piuttosto riuscita ad interpretare come spunto creativo l’ingerenza della casa discografica, dando così vita a questo ben riuscito lavoro.
 

 

 

 

 

Morena Bartolacci
   
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