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Cinema di Guerra (Parte 1)
KUBRICK, LA GUERRA E I GIOCHI DEL POTERE

 

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In un periodo in cui gli equilibri internazionale tra gli stati vengono di continuo messi in discussione da rapporti di forza, ci siamo chiesti in che modo e con quali tecniche artistiche la realtà si lega alla rappresentazione filmica di un evento quale quello della guerra.
In questo primo numero abbiamo così “scomodato” un mostro sacro della cinematografia mondiale: Stanley Kubrick.

Tre sono stati i film presi in analisi:

Orizzonti di Gloria del 1957
Dott.Stranamore del 1963
Full Metal Jacket del 1987

 

 

Il regista, in queste opere, ponendo la guerra sullo sfondo, punta “l'obiettivo” soprattutto sulle tragedie personali che l'evento “guerra” provoca nei soggetti che la vivono.
E' in questo contesto di equilibri precari che emerge tutta la follia dominatrice dell'uomo.
Una follia conservatrice che, mantenendo vecchi schemi ideologici, cerca di veicolare la “legge del più forte”. E' la rappresentazione della degenerazione del potere che diviene poi sadismo allo stato puro.
Lo possiamo osservare nell'amara ironia anti/militarista in “Orizzonti di Gloria” – censurato per 20 anni dallo stato Francese – Lo possiamo osservare nell'attacco sferzato ai miti cardine del potere (scienza, efficientismo, logica distruttiva del sistema) nel suo fanta/politico “Dott. Stranamore”.
Con stile altrettanto più distaccato e caustico, in Full Metal Jacket, con un ottimo registro sarcastico, è il Sergente Hartman a rappresentare la folle violenza psicologica e verbale che porta una recluta a divenire un vero e proprio Marines addestrato per uccidere.
Ma nel labile equilibrio del gioco di potere, qualcosa non funziona.
Una recluta non regge ad duro addestramento e, prima di suicidarsi, uccide il Sergente.
Un cinema d'accusa, dunque, quello di Kubrick.
Un cinema intriso di letteratura che prende spunto dai tre romanzi omonimi.
Orizzonti di Gloria” di Humplhrey Cobb; “Il Dott. Stranamore” di Peter George e “Full Metal Jacket” di Gustav Hasford.
Tre classici della letteratura di guerra per tre liberi adattamenti sotto il segno dell'ossessiva, quasi morbosa, meticolosità registica del grande cineasta.

 

“Odio che mi si chieda di spiegare come “funziona” il film, cosa avevo in mente e così via. Dal momento che ci si muove ad un livello non verbale, l'ambiguità è inevitabile”.

Stanley Kubrick

 

 

ORIZZONTI DI GLORIA (1957)

Regia di Stanley Kubrick. Soggetto dal romanzo omonimo di Humphrey Cobb. Scenegg. di Kubrick, Calder Willingham, Jim Thompson. Scenografia diLudwig Reiber. Fotografia (b/n) di George Krause. Attori: Kirk Douglas, George Macready, Adolphe Menjou (United Artist, 1956).

Confine franco-tedesco. Prima Guerra Mondiale. Un generale francese ordina ai suoi soldati un insensato attacco suicida, una volta fallito l'assalto alcuni soldati vengono accusati di codardia e condannati alla fucilazione per dare un esempio a tutte le truppe. A nulla varranno i tentativi di un colonnello di salvare i suoi soldati. Il film è pervaso dalla frustrante prospettiva che i “sentieri della gloria” così annunciati dal titolo e dalla iniziali note della Marsigliese, in realtà non si vedranno mai. E' per una assurda ambizione personale che il generale Mireau ordina un attacco perso già in partenza ed è sempre per ambizione che il colonnello Dax (Kirk Douglas) cerca inutilmente di salvare i tre soldati per poi rifiutare una promozione dallo stesso generale. I leit motiv del pensiero kubrickiano circa la guerra sono tutti presenti: assenza del nemico (qui come in ‘Fear and Desire', ‘Dr. Stranamore', ‘Full Metal Jaket), istituzione militare vista come meccanismo disumano e tragedia dell'ineluttabilità. Kubrick rifugge dall'individuare un obiettivo esterno. Focalizza, piuttosto, il suo sguardo sul primo vero pericolo per l'uomo: l'uomo stesso. Così sembra dirci che gli orizzonti della gloria ci sono, ma conducono alla morte.

 

 

IL DOTTOR STRANAMORE (1963)

Regia di Stanley Kubrick. Soggetto dal romanzo di Peter George ‘Red Alert'. Scenegg. di Kubrick, Terry Southern, Peter George. Scenografia di Ken Adam. Fotografia (b/n) di Gilbert Taylor. Attori: Peter Sellers, George C. Scott, Sterling Hayden (Columbia, 1963).

Il generale Jack D. Ripper certo di un complotto comunista, isola la base militare di Burpleson e invia dei B-52 per sganciare delle testate nucleari sull'Unione Sovietica. Il presidente degli Stati Uniti riunisce il suo stato maggiore nella “sala della guerra” e decide di isolare la base e richiamare i B-52 già in volo, ma uno di questi sfugge al richiamo. Dato che anche una sola testata nucleare sarebbe sufficiente per attivare il meccanismo automatico di reazione nucleare sovietico, non resta che aspettare l'impatto (che sarà inevitabile) e organizzarsi per una vita post-nucleare. Per Kubrick è il primo film dopo la rottura del sodalizio col produttore, che lo aveva accompagnato dagli esordi James B. Harris ed il secondo prodotto dopo il trasferimento in Inghilterra. Dopo Lolita l'autore torna con un film che, uscito in piena guerra fredda, è forse la sua opera più legata all'attualità. Esorcizza con efficacia il terrore, tipico di quel periodo, che anche il più insignificante errore umano avrebbe dato vita alla fine del mondo. Si tratta della tragedia dell'ineluttabilità già presente sia nei film precedenti (Rapina a mano armata, Orizzonti di gloria e in misura minore in Spartacus) che nei film successivi (Full Metal Jacket), ma questa volta l'approccio scelto è chiaramente il grottesco, la commedia nera. Una nota va giustamente spesa per l'eccezionale recitazione di Peter Sellers già grande in Lolita ma qui sfruttato a pieno nelle sue proverbiali qualità camaleontiche. Da ricordare anche Ken Adam, per il realismo delle scenografie, in particolare per la “sala della guerra” e per gli interni del B-52.

 

 

FULL METAL JACKET (1987)

Regia di Stanley Kubrick. Soggetto dal romanzo di Gustav Hasford ‘The short-timers'. Scenegg. di Kubrick, Michael Herr, Hasford. Scenografia di Anton Furst. Fotografia di Douglas Milsome. Attori: Matthew Modine, Adam Baldwin, Kevyn Howard (Warner Bros, 1987).

Un gruppo di giovani marines, duramente addestrato dal sergente Hartman, parte per il Vietnam dove si confronterà con gli orrori della guerra. L'esile trama si divide in due parti: l'addestramento delle reclute nel campo di Parris Island e l'azione in guerra tra le macerie della città di Hue. Nei primi quarantacinque minuti assistiamo alla brutale preparazione psicologica (e fisica) che trasformerà le reclute in “potenziali killer”, in veri marines. L'idea di un esercito inteso come sistema che controlla l'individuo, la si coglie nelle inquadrature degli edifici militari, dove la simmetricità della scena richiama ad una struttura rigida, asettica e allo stesso tempo impersonale; si tratta di uno spazio entro il quale l'individuo deve perdersi, abbandonare la propria identità e rivestirsi di quella nuova fornita dall'esercito. La seconda parte mette totalmente in discussione il controllo che l'esercito aveva stabilito sui soldati; questi una volta a contatto con la morte si perdono, i comandanti non riescono a comandare, non si riesce a vedere il nemico e perfino le mappe sembrano non funzionare. Kubrick fa passare i suoi personaggi dal controllo totale allo smarrimento e ci guida in questa sorta di discesa all'inferno con la steadicam, una cinepresa a mano che grazie ad un sistema idraulico permette di riprendere in movimento con grande fluidità. Qui in modo più marcato rispetto ad altri suoi film ne fa un uso distorto, quasi a voler simulare le riprese documentaristiche che con la loro instabilità distruggono la fissità e la geometria che avevano ampiamente regnato nella prima parte del film. Kubrick si serve, per l'ennesima volta, di un soggetto da “war movie” per mostrare la stupidità umana e vi riesce con un distacco e una freddezza mai visti in altri autori. La maniacale cura scenografica, la favolosa nitidezza della fotografia portano FMJ ad un iperrealismo lontano da altri film di genere, in particolare dal realismo di Oliver Stone in Platoon (1986) e dal surrealismo di Coppola in Apocalypse Now (1979). Nessuna parola, frase o recensione per quanto costruita può rendere giustizia ad un capolavoro qual è FMJ quindi non resta che lasciar parlare le immagini.

Samuele Baccifava

 

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