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TONINO GUERRA

Fermo - 5 giugno 2004
UniBox incontra Tonino Guerra, poeta e sceneggiatore

 

Tonino Guerra, poeta e sceneggiatore. Ha iniziato la sua carriera scrivendo poesie in dialetto emiliano poi è passato all'italiano.. perché questa scelta?

Io sono semplicemente un poeta e faccio anche del cinema… Loro del cinema mi adoperano per certe mie intuizioni poetiche, non è che mi adoperano per altro, questo è alla base. Per quanto riguarda l'italiano ed il dialetto, dovete sapere che, quando ero prigioniero in Germania, c'erano tutti contadini romagnoli e mi chiedevano delle poesie in dialetto romagnolo, ho preparato queste poesie in dialetto romagnolo, che sono piaciute a Carlo Bo. Carlo Bo poi, ha fatto una promozione ed io ho pubblicato un libro a mie spese e questo libro ha avuto successo , è piaciuto anche a quello che doveva fare un film, il suo primo film, che era un attore (Agalfio Casadio) e con Elio Petri ho fatto la sceneggiatura di questo film.

Qual è la sua concezione del cinema?

La mia concezione del cinema è, sia una ricerca che, un viaggio dentro l'uomo... Che poi, attorno, ci siano paesaggi e quel che volte, ma io sto sempre lì per vedere, perché l'uomo è venuto, che cos'è l'amore, le cose fondamentali… Abbiamo tanti nemici contro, però: fare dei film, ritornare a parlare dell'uomo, delle sue piccole sfumature, cercare di rompere questo segreto di che cosa sono i sentimenti… Bisogna ritornare a questa forma qui, bisogna finirla di vedere il mondo come una favola così piena di esplosioni, di una fantasia eccessivamente… Che io chiamerei “fantasticheria”, cioè mancanza di vera fantasia.

Nella scrittura cinematografica, spesso, l'attività dello sceneggiatore tende a rimanere più all'ombra rispetto all'attività del regista. Ma cosa dà, in più, uno sceneggiatore al suo regista?

Lo sceneggiatore aiuta, aiuta semplicemente ad un regista. Lo sceneggiatore è qualcuno che lavora sulle parole e quindi è lontano, in un certo senso, dalle immagini che poi crea il regista. Il vero autore del film è sempre il regista e molte volte lo sceneggiatore ha una buona importanza… Non esageriamo ma, una buona importanza. E' probabile che, spesso, questa importanza non sia calcolata dai giornalisti.

Secondo lei, sia nel Cinema Italiano che in quello Europeo, c'è bisogno di un Rinascimento, di un rilancio generale sotto ogni punto di vista, specialmente per quanto riguarda l'aspetto creativo?

Rinascere è sempre bello. In fin dei conti, il dopoguerra per noi, è stato il nuovo rinascimento, col cinema italiano che poi è andato in tutto il mondo per delle buone ragioni. La prima ragione era che tutti avevano sofferto la guerra… E così, i nostri film, facevano parte anche della loro storia. E quindi, è per quello che hanno avuto poi, a parte i meriti veramente di stile e di valore, questa propaganda e questo viaggio molto lungo. Adesso, cosa vi devo dire, c'è molta tecnica. Io spero che si ritorni ad un film poetico, spero. Però può darsi sia anche sbagliato. Io… Questi film americani, non ho voglia di vederli ma, capisco che sono di grande forza e possono anche convincere. Vedo che la gente li vuole. Oramai che io vado anche spesso in Russia, tutti vanno a vedere questi film americani… Anche perché è di moda la lingua inglese… Abbiamo tanti nemici contro, però: fare dei film, ritornare a parlare dell'uomo, delle sue piccole sfumature, cercare di rompere questo segreto di che cosa sono i sentimenti… Bisogna ritornare a questa forma qui, bisogna finirla di vedere il mondo come una favola così piena di esplosioni, di una fantasia eccessivamente… Che io chiamerei “fantasticheria”, cioè mancanza di vera fantasia.

Vede in Italia dei giovani che possano seguire la scia di Tonino Guerra?

La scia di Tonino Guerra per quanto sceneggiatore, perché io sono sceneggiatore. Quindi ci sono molti giovani che hanno successo e, per quanto riguarda i registi, mi pare, molti si fanno largo, molti si fanno ammirare. Che cosa volete? Pensiamo un attimo. Nel dopoguerra c'erano almeno sorti in pochi anni, dieci, quindici potenti registi e scrittori. Pensiamo a Pasolini, Flaiano e tanti altri. Ora, perché noi vogliamo immediatamente che ci sia un bagliore violento del cinema italiano da incantare il mondo, come ha fatto nel dopoguerra? L'ho detto quali erano le ragioni che erano anche a nostro vantaggio. Adesso di svantaggio c'è che, naturalmente, dobbiamo pensare alle nostre storie, non è che le nostre storie possano interessare facilmente gli altri, poi c'è la questione della lingua, tremenda. Son tante le cose. Ma così, in tutti i campi. Nel cinema c'è stato il rinascimento… Poi, non è che ho molta stima della popolazione. Io amo il popolo, io sono un uomo di sinistra, lo amo… Però, lo vedo così attaccato alle Telenovelas, a tutto quello che è mostruoso, per cui, ditemi voi, come si fa, come si fa a potere regalare alla memoria di questa gente, qualcosa che abbia un sapore più valido?? Che sia il “pane eterno”?? Questo è il problema. Cosa volete che vi dica? Tutto quello che sento, tutto quello che si vede della gente, mi sembra così lontano dalle cose… E non è colpa magari di loro; è colpa magari di noi che siamo stati dei cattivi insegnanti… E d'altra parte che ci volete fare…

Lei ha detto : “Nei film di Antonioni, le parole sono solo un sottofondo per le immagini”. Ma questo è valido solo per Antonioni o anche in genere per il cinema?

Per i grandi cineasti, le parole sono sempre qualche cosa che reggono appena quell'illuminazione che hanno. Anghelopulos è un uomo che ama molto la parola. Tarkovskij ama molto la parola e riesce a tirar su i calzoni anche con le due cinghia. Antonioni è un qualcuno che veramente la vede come si può avere una tazza rotta di ceramica nelle mutande, da fastidio, ecco.

Tonino Guerra e Pennabilli (il piccolo paesino sperduto nel Montefeltro, patria degli artisti di strada). Com'è nato questo legame?

Io sono nato a Sant'Arcangelo di Romagna, sono romagnolo ma, i miei genitori andavano a Pennabilli, quand'ero bambino, a vendere frutta e verdura e quando io avevo dai dieci, dodici, tredici anni, mi mandavano a Pennabilli, mi lasciavano a Pennabilli perché dicevano che c'era l'aria più buona e molto utile perché in quel periodo, l'unica malattia grave era la tubercolosi.

 

 

 

 

 

 

 

Samuele Baccifava
   
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