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Baskerville BSC Biblioteca di Scienze della Comunicazione

 

Leonardo Benvenuti
MALATTIE MEDIALI
Elementi di socioterapia

© 200
2 - Pag. 340
Euro 22,
00
ISBN 88 8000 0
11 X


L’ipotesi della socioterapia è che non vi sia un concetto astratto di disagio ma che si debba fare riferimento ad una serie di ambiti, alcuni dei quali sono intimamente legati a quella che l’autore ha definito la deriva storica dei media: il succedersi di media via via dominanti che crea periodi iniziali di disagio in relazione dell’obsolescenza di quello precedente e nella fase di consolidamento di quello successivo. Così è stato, nel passaggio dalla cultura orale a quella tipografica, per il vagabondaggio, il brigantaggio e l’alcolismo.
È soprattutto a partire dalla sociologia, come disciplina che affronta l’analisi dei processi culturali e comunicativi, che si è venuta delineando la proposta socioterapeutica come approccio teso alla comprensione e alla decodifica delle situazioni contemporanee, alla loro traduzione nei termini dei portatori di disagio e, infine, alla progettazione di iter di uscita da stati di disagio che – in assenza di cause immediatamente organiche – risultano essere strettamente legati all’incapacità di decodifica di sé e del proprio ambiente.


Leonardo Benvenuti è docente di Intervento sociale e socioterapia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, insegnamento che rappresenta il coronamento di un’esperienza di ricerca e di sperimentazione sull’uso della sociologia nell’intervento terapeutico, in particolare rispetto ai problemi di tossicodipendenza. Da più di venti anni dirige un centro per ragazzi tossicodipendenti. Ha pubblicato Devianza e mass media (1983) sull’influenza dei media nella società e Il ruolo e l’importanza delle conoscenze e pratiche sociologiche nel campo terapeutico” (1992), saggio teorico sulla socioterapia. Egli è, inoltre, fondatore e presidente dell’Associazione Italiana di SocioTerapia (A.I.S.T.).


Una recensione di RAFFAELE FACCI

Malattie Mediali è un libro difficile, quasi blasfemo rispetto ad alcuni dogmi della cultura occidentale. L’argomento riguarda le difficoltà di completa comprensione di fenomeni delle nostre società (ad esempio alcune malattie e disagi ad origine sociale, quali le dipendenze patologiche, i disordini alimentari, le crisi di panico, di angoscia ecc.) che sono oggi affrontati secondo le teorie psicologiche imperanti e che sono trattati come se fossero casi individuali pur avendo livelli di diffusione e di incremento quasi epidemici. I meccanismi di cura e intervento sembrano avere validità limitata e quasi pescare, tra tutti i casi coinvolti, proprio (o solo?) quelli per i quali tali approcci hanno validità. Nelle nostre società, inoltre, basate almeno apparentemente sulla conoscenza scientifica spinta alle estreme conseguenze, le zone d’ombra, soprattutto interne, sembrano aumentare. Il baratro dell’inconscio sembra stemperare la coscienza, diluire le responsabilità, aumentare la capacità di fornirsi un alibi; la colpa diviene un concetto sempre più labile; il disagio sempre più spinto e diversificato, viene affrontato in modo unimodale, scientifico e cioè farmacologico. Si cerca il rimedio chimico a tutto: infelicità e depressione, insonnia e pigrizia, impotenza ed esuberanza, vivacità ed apatia, ecc.
Dov’è l’uomo? Dov’è la referenza, dove sono i valori o perché si è cessato di nominare Dio? A tutto questo Malattie Mediali cerca di dare una risposta con un approccio che cessi di essere parziale e si presenti come il possibile inizio di una nuova teorizzazione globale, la socioterapia, che affronti via via tutti gli aspetti delle nostre società. Nel momento in cui il malessere sembra crescere, anziché calare, si deve intervenire mettendo in discussione non tanto le conclusioni sgradite quanto le premesse.
Una delle ipotesi importanti contenute nel libro coinvolge proprio la qualità dell’intervento sul disagio: se è un disagio esistenziale, di civiltà, perché non intervenire su di esso in modo ecologico, mettendo in discussione le premesse di tale modello di civiltà?
Così, se il ribellismo giovanile ha avuto numerosissimi tentativi di etichettamento – dai teppisti, ai teddy boys, dai basilischi, ai giovani bruciati verdi, ai vitelloni (per chi dovesse ricordare tali etichette da archeologia culturale del nostro paese), ai bulli, ai neoromantici, ai punk, agli skinhead, ai writer, ai nazi, ecc. – difficilmente vi sono state delle spiegazioni soddisfacenti. Per l’approccio socioterapeutico occorre introdurre un’ulteriore variabile, quella della successione dei media, per comprendere tale ultimo fenomeno: la società della stampa elimina l’anziano come depositario di conoscenza, quello stesso anziano che per le precedenti società orali era il depositario della conoscenza stessa. La gioventù diviene valore in sé in quanto carica di potenzialità per lo sviluppo del futuro uomo: il giovane e l’adolescente divengono superbi proprio per la loro caratteristica di essere freschi di studio rispetto ai loro progenitori. Da ciò nasce quel sentimento di superiorità e di onnipotenza che sembra contagiare ed essere coessenziale con una giovinezza che diviene premessa per la nascita di individui autoreferenti. L’adolescente ribelle, secondo l’approccio socioterapeutico, è il semplice prodotto della penultima transizione mediale: lo stesso ribellismo che aveva caratterizzato nella cultura della stampa il vigore del nuovo uomo, nel passaggio ad un’ulteriore situazione mediale, quella dei moderni mezzi di comunicazione di massa, diviene la fonte di un’inquietudine e di un’incapacità di decodifica di sé e dell’esterno nel nuovo ambiente comunicativo. Questo potrebbe spiegare il disorientamento dei nuovi giovani; il loro rifiuto di quanto appartiene alla logica precedente pur pretendendone i vantaggi; l’avere spaccato nella vita di tutti i giorni quella progettualità che era caratteristica dello stadio mediale precedente. L’attuale transizione verso nuovi standard comunicativi e di formazione delle conoscenze diviene anche la causa delle difficoltà individuali di adeguamento ad una multimedialità che coincide anche con la morte del marcusiano “uomo ad una dimensione” a favore di un nuovo uomo che, per ora, può solo essere oggetto di ipotesi evolutive.
Questo potrebbe spiegare l’insoddisfazione dei giovani verso le forme di vita dei genitori, le loro difficoltà nell’organizzare la propria in funzione di una multisensorialità che si sta riaffermando e che rende lo stadio evolutivo attuale più simile a quello dell’oralità rispetto al mondo tipografico. Questa nuova esigenza multisensoriale spazzerebbe via i concetti tipici del periodo precedente: di qui la fine dei concetti di personalità, di inconscio; la crisi di quelli di valore, di coerenza, ecc.
Il lavoro per arrivare alla definizione di un approccio che utilizzi le scienze umane e, in particolare, la sociologia per affrontare ed avanzare ipotesi d’intervento su alcune situazioni di disagio della nostra società, rimane enorme. Il lavoro di Benvenuti permette una prima inquadratura e offre stimoli di novità di lettura che saranno utili a molti.



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